Casale in epoca storica
Ultima modifica 5 giugno 2024
Nella prima metà del XV secolo a Casale vi è un convento degli Umiliati dipendente dalla Casa madre di Santa Maria di Brera a Milano.
Il movimento umiliato nacque in Italia nella seconda metà del XII secolo quando rinnovati ideali di vita apostolica e di povertà evangelica rinnovarono la cristianità occidentale. In questo stesso periodo ebbero le loro origini anche altre grandi famiglie religiose come i Francescani ed i Domenicani che, pur essendo fortemente innovative e proponendo uno stile di vita radicalmente evangelico, furono considerate fin dall’inizio dei movimenti ortodossi.
Gli Umiliati invece, all’inizio della loro storia, vennero scomunicati da Papa Lucio III con la Bolla Ad abolendam del 4 novembre 1184 ed accomunati ad altri eretici come i Patarini, i Catari, gli Arnaldisti ed i Poveri di Lione.
L’origine di questo movimento era alquanto insolita per l’epoca, infatti nacque per iniziativa di laici che, mossi da un forte desiderio di vivere secondo il modello evangelico, vivevano insieme con le loro famiglie, lavorando ed annunciando la Buona Novella nei luoghi di lavoro. In seguito si costituirono e differenziarono in tre ordini: il primo formato da chierici, il secondo costituito da una comunità mista di fratres e sorores ed un terzo composto da laici con le loro famiglie.
Solo nel 1201 Papa Innocenzo III approvò con la Bolla Omnis Boni Principum la regola di vita degli Umiliati, conservando quelle che erano le loro caratteristiche più innovative: la distinzione in tre ordini, le attività artigianali ed il loro coinvolgimento nell’amministrazione delle città che ospitavano le loro Case
Le fonti riguardanti le prime comunità di Umiliati ricordano infatti che essi vivevano del frutto del proprio lavoro manuale che non si limitava alla sola coltivazione della terra. Il lavoro agricolo rivestiva un’importanza non secondaria tra le attività degli Umiliati fin dall’inizio, infatti erano esentati dal pagamento delle decime sui frutti dell’agricoltura e dell’allevamento praticati dalle comunità del primo e del secondo ordine. La principale attività era però fino al terzo decennio del XIV secolo la manifattura dei panni di lana, oltre al commercio ed al possesso e amministrazione di mulini ed altre installazioni meccaniche. Gli Umiliati inoltre, si impegnarono anche nel mondo degli affari e del denaro con operazioni di natura finanziaria e creditizia. Questa attività non aveva però fini di lucro, ma motivazioni caritativo assistenziali. In un periodo storico in cui l’usura era considerato uno dei mali sociali più grandi, gli Umiliati stipulavano contratti con persone indebitate, acquistavano beni immobili a prezzo di mercato senza approfittare dello stato di necessità di chi non avrebbe potuto avere denaro se non rivolgendosi agli usurai, investivano il denaro a loro affidato da orfani e vedove garantendo comunque l’utile promesso e sobbarcandosi parte delle perdite.
Gli Umiliati, grazie alla fiducia di cui godettero, rivestirono spesso delle cariche pubbliche: furono sovrintendenti ai lavori pubblici, dazieri, canevari (una sorta di ministri delle finanze e del tesoro), ambasciatori, massari, ufficio che nel XIII secolo fu rivestito da un appartenete alla famiglia Umiliata nelle città di Alessandria, Brescia, Como, Cremona, Novara, Firenze, Parma e Siena. Ebbero un ruolo importante anche nel settore giudiziario, furono infatti fratres maleficiorum e massarii bandezatorum. Nel primo caso dovevano accogliere le accuse, infliggere le multe, ricevere il denaro che accompagnava le imputazioni portate in tribunale e trasmettere le entrate alla cassa centrale. Nel secondo i frati affiancavano il giudice che stabiliva i bandi e presiedevano all’amministrazione dei beni confiscati alle persone bandite.
Possediamo solo tre documenti riguardanti la casa degli Umiliati di Casale: si tratta di tre delibere prese dal Consiglio Generale di Crema nel 1457. La prima riguarda la richiesta, in seguito accolta, fatta al Consiglio da parte del “P. Abate degli Umiliati di S. Maria di Casale per ottenere dalla città un sito lungo la Roggia Crema in città per fabbricarvi un Molino“. La richiesta venne accolta a condizione che la costruzione del mulino non impedisse il transito delle barche lungo la roggia Crema che, in comunicazione con il Serio, costituiva una via di transito importante per i traffici commerciali tra la città e Venezia. Il mulino degli Umiliati si trovava a valle del ponte che univa Borgo San Pietro e San Benedetto, sulla sponda sinistra della roggia Crema; in origine azionava quattro ruote, era dotato di depositi e ricoveri costruiti su di un’area già in possesso degli Umiliati di San Martino in Borgo San Pietro.
La seconda, datata 3 maggio 1457, riguarda la nomina del Priore della Commenda di San Pietro di Madignano che era rimasta vacante per la rinuncia - imposta dalla Serenissima - del precedente Commendatario Mons. Giovanni Battista Arcidiaconi. Il Consiglio Generale di Crema propose al Doge i nomi di tre sacerdoti cremaschi perché potesse sottoporli all’attenzione del Papa Callisto III: il primo di questi tre ecclesiastici era Padre Antonio Morari Abate degli Umiliati di Santa Maria di Casale. Grazie al favore di cui godeva presso il Consiglio cittadino Padre Morari ottenne quindi la Commenda di Madignano.
Nella terza datata al novembre 1457, lo stesso Padre Morari si offrì per portare a Venezia le congratulazioni e gli omaggi della città, al Doge Pasquale Malipiero da poco eletto. Il Consiglio Generale di Crema incaricò quindi Padre Antonio Morari della missione diplomatica che venne conclusa positivamente.
Come possiamo vedere dalle sia pur scarne notizie contenute nei documenti, gli Umiliati di Casale e soprattutto il loro Abate, erano tenuti in grande considerazione dai membri del Consiglio Generale della città, tanto da affidargli una missione diplomatica presso il Doge.
Il Convento degli Umiliati di Casale, del quale sopravvissero alcune tracce fino alla prima metà del XX secolo, si trovava con l’annessa chiesa dedicata a Santa Maria nei pressi della chiesa parrocchiale del paese. Nella chiesa degli Umiliati si venerava una statua della Vergine col Bambino molto cara ai frati ed agli abitanti di Casale.
Dopo la soppressione dell’Ordine per decreto di Papa Pio V con la Bolla Quemadmodum del 7 febbraio 1571 il Convento venne chiuso, l’immagine della Vergine venne spostata nella chiesa parrocchiale e la chiesa di Santa Maria (fra il 1583 ed il 1717) venne incorporata nella stessa chiesa parrocchiale di Santo Stefano
Parte delle proprietà immobiliari, circa 1500 pertiche di terreno, vennero vendute nel 1571 al nobile Giovanni Matteo Obizzi, Provveditore di Crema ed in seguito passarono a suo figlio Alessandro che nel 1619 faceva parte del Consiglio Generale della città.
Nel 1716 gli Obizzi, che oltre a Casale possedevano anche numerosi beni a Bottaiano e alle cascine Zurlesche, ebbero il titolo di Marchesi da Francesco Farnese Duca di Parma.
Alla fine del XVIII secolo gli Obizzi, abbandonata la villa Obizza di Bottaiano, costruirono un palazzo a Casale, sulla riva del Serio nell’area del soppresso convento degli Umiliati: il Palazzo Monticelli-Obizzi.
La Marchesa Maria Obizzi, ultima della sua famiglia, sposò all’inizio del XIX secolo un Nobile Monticelli di Crema e gli portò in dote l’intero patrimonio comprendente anche Casale del quale era rimasta unica erede dopo la morte, avvenuta nel 1807, del fratello Mons. Carlo Antonio dei Marchesi Obizzi Vicario Capitolare di Crema.
L’unica figlia dei coniugi Monticelli-Obizzi sposò il conte Paolo Tarsis di Roma, dal quale ebbe un’unica figlia, la contessa Giulia Tarsis che sposò il conte Senatore Alfonso Vimercati Sanseverino Tadini Prefetto di Napoli. Alla morte del conte le proprietà di famiglia vennero divise: alla moglie la contessa Giulia Tarsis la tenuta di Casale, il podere Gavazzo al figlio Roberto Vimercati Sanseverino Tadini, alla figlia Laura Vimercati Sanseverino Tadini moglie del Marchese Gaspare Corti il podere Zurlesche.
La tenuta di Casale venne venduta in seguito ai fratelli Taddei di Casale che a loro volta la cedettero alla Ditta Galbani di Melzo.
Oltre agli Obizzi, anche i Nobili Bremaschi ebbero proprietà ed un palazzo in Casale a partire dalla prima metà del XVII secolo; essi acquistarono parte dei beni posseduti dagli Umiliati. Della famiglia conosciamo dai documenti un Nobile Orazio Bremaschi che navigò come nobile di poppa sulla nave capitana dell’Ammiraglio Frà Giovanni Battista Naro Priore d’Inghilterra, il quale lo congedò a Civitavecchia il 2 ottobre 1631 con “onorevole attestato per i servizi prestati” Tra i componenti della famiglia Bremaschi che abitarono a Casale conosciamo il Nobile Francesco che nel 1654 fece costruire a proprie spese nella vecchia chiesa di Santo Stefano di Casale un altare dedicato a Sant'Antonio da Padova e ne affidò la pala principale al Barbelli.
Alla fine del XVIII secolo i Bremaschi si estinsero e le loro proprietà vennero rilevate dai Conti Oldi.
Nel 1805 il proprietario della villa Bremaschi-Oldi è il conte Andrea Oldi figlio di Antonio; quello stesso anno il conte morì e le proprietà furono divise tra i figli Giuseppe, Ferrante, Valentino, Leonida ed una sorella.
Il 20 aprile 1822, in seguito alla morte del conte Giuseppe Oldi, i suoi beni furono ereditati dai figli Ferrante, Casimiro, Adamo e Timoteo che essendo ancora minorenni restarono sotto la tutela della madre Giuseppa Dombroschi. Nel 1828 i beni vennero divisi e la villa con 408 pertiche di terreno e quattro case coloniche passò al conte Timoteo Oldi. Non sappiamo se il conte Timoteo sia morto, è certo comunque che il 12 agosto 1871 la villa divenne proprietà del nipote il conte Ferrante, figlio di Adamo che la vendette il 16 gennaio 1873 a Giovanni De Tomasi.
Il 16 ottobre 1886 la villa venne acquistata dal Nobile Hermes Albergoni figlio di Fortunato; Il 26 aprile 1914 morì il Nobile Fortunato Albergoni e la villa di villeggiatura di Casale venne suddivisa tra due dei tre figli, Azzo e Napo ed una cugina Ginevra Albergoni; il figlio Hermes non è ricordato nel testamento. Il 6 dicembre 1926 gli Albergoni vendettero la villa al dott. Paolo Agnesi che la abitò vino alla morte (5 giugno 1938). Gli Agnesi rimasero proprietari della villa fino alla fine degli anni Settanta quando il Comune la espropriò e, dopo un accurato restauro, ne fece la propria sede.