Epoca romana

Ultima modifica 5 giugno 2024

La penetrazione romana nella Gallia Transpadana ebbe inizio nel III sec a.C e suscitò subito l’ostilità dei Galli Boi, Insubri e Cenomani. Dopo la conquista di Milano, i Romani si assicurarono basi di importanza strategica nella pianura padana, trasformando in ager publicus gran parte del territorio confiscato ai Galli e fondando nel 218 a.C. le due colonie di Cremona e Piacenza. I Romani ottennero la conquista definitiva della Transpadana soltanto nel 191 a.C. e, dopo aver stretto un foedus con i Cenomani, gli Insubri e gli Orobi, si dedicarono alla fondazione di nuove colonie, allo sviluppo dell’agricoltura ed allo sfruttamento delle risorse di questi nuovi territori.

Per tutto il I sec a.C. la Transpadana lottò per avere la parificazione giuridica con il resto dell’Italia.

Nell’ 89 a.C., con la Lex Pompeia de Gallia Citeriore, i nuclei abitati da gruppi etnici non romani ottennero il diritto latino, trasformandosi in colonie latine e divenendo centri amministrativi dei territori circostanti. Le terre confiscate furono redistribuite dopo lavori di bonifica e suddivisione agraria. È in questo periodo che il territorio bergamasco ha la sua prima centuriazione che però non tocca il territorio cremasco, ma si attesta sopra la linea delle risorgive. Con la Lex Roscia e la Lex Rubria del 49 a.C. i Transpadani conseguirono la parità politica e giuridica col resto dell’Italia, mentre nel 45 a.C. con la Lex Jiulia municipalis ottennero che le colonie latine della Transpadana fossero convertite in municipia civium romanorum. Nel 42 a.C. finalmente la Cisalpina entrò a far parte a tutti gli effetti dell’Italia, eliminando il comando militare che vi era stato istituito forse da Silla.

Sotto Augusto la Lombardia venne divisa tra la Regio XI (Transpadana) e la Regio X (Venetia), il confine era segnato dal corso del fiume Oglio. È forse in questa occasione che avvenne la seconda centuriazione del territorio bergamasco che comprendeva anche il Cremasco fino alla foce del Serio nell’Adda e lungo una linea che correva tra gli abitati di Offanengo, Romanengo e Ticengo segnando il confine con la centuriazione cremonese. Anche il territorio di Casale Cremasco e di Vidolasco conserva cospicue tracce della suddivisione agraria e della irregimentazione delle acque effettuata dagli agrimensori romani, come è possibile vedere nella Carta archeologica nella quale oltre alle tracce della centuriazione sono segnalate anche le località dalle quali provengono reperti archeologici.

Dall’analisi della Carta archeologica risulta evidente una sostanziale disparità tra il territorio di Casale e quello di Vidolasco; quest’ultimo infatti appare molto più ricco di testimonianze. Una spiegazione per questa anomalia può essere individuata nell’attività di ricercatore ed appassionato di archeologia svolta per parecchi anni da don Angelo Aschedamini, parroco di Vidolasco. Durante le sue indagini ha esplorato la campagna del suo paese segnalando molti siti archeologici ed inventariando migliaia di frammenti ceramici. Non possiamo escludere però che la notevole ricchezza di rinvenimenti effettuati nel Comune di Vidolasco segnali effettivamente la maggiore antichità ed importanza della presenza dell’uomo in questo territorio rispetto a quello di Casale.

Possiamo notare dalla Carta che i siti che hanno rivelato i reperti più antichi non sono concentrati in un unico luogo, ma sono sparsi per tutto il territorio di Vidolasco ed in genere hanno una continuità di vita che raggiunge l’Alto Medioevo. I reperti individuati ai campi Novelli, campo Gamba zocca, campo Chiericata, campo Faustino, campo Dosso dell’Asino coprono infatti un arco cronologico compreso tra il I secolo a.C e l’Alto Medioevo. Si deve trattare con ogni probabilità di insediamenti rurali e piccole ville rustiche sparse sul territorio per meglio coltivarlo e controllarlo.

Da recenti scavi, effettuati in Italia settentrionale, sono emerse informazioni più particolareggiate sulla tipologia degli edifici abitativi di ambito rurale. In primo luogo troviamo degli impianti di dimensioni contenute, monofamigliari, con poche stanze, dotati di apprestamenti lavorativi esterni. Una seconda tipologia è rappresentata da ville prettamente rustiche: edifici di ampiezza medio-grande, articolati in numerosi vani, intorno ad un cortile, con una netta prevalenza di ambienti lavorativi, contraddistinti da una conformazione chiusa, delimitata da muri continui. Vi è poi un’ultima tipologia: quella della villa urbano-rustica che è invece caratterizzata dalla presenza di un vero e proprio quartiere residenziale particolarmente ricco. Non molto diversi dovevano essere anche gli edifici rurali sparsi nel territorio di Vidolasco e Casale dei quali, per ora, solo la raccolta di superficie ci fornisce qualche notizia.

Dalle murature della chiesa dei Santi Faustino e Giovita, da un portone della casa Arpini lungo la via Maggiore e dall’area della pesa pubblica provengono alcuni frammenti scultorei ed architettonici in marmo databili all’età imperiale. Si tratta di un architrave, un frammento di lesena ionica, un frammento di fregio o architrave scolpito a bassorilievo con motivi vegetali inseriti in una cornice, un tronco di statua maschile priva di testa, braccia e gambe ed una testa. La concentrazione dei reperti in un’unica località suggerisce l’ipotesi che essi possano provenire da una zona molto prossima alla chiesa ed appartengano ad un edificio abitativo di una certa importanza, ma non è escluso che si possa trattare anche di un sacello di culto oppure di un monumento funerario. Il rinvenimento è comunque un unicum per il territorio cremasco, infatti solo nella grande villa tardoantica di Palazzo Pignano sono stati portati alla luce materiali architettonici e statue in marmo, anche se molto più piccole di quelle di Vidolasco. Sulla base di tali ritrovamenti possiamo ipotizzare che in un periodo compreso tra il I ed il II secolo d.C, nell’area della vecchia chiesa in centro a Vidolasco (lungo la via Maggiore che corrisponde ad un decumano della centuriazione) vi fosse una ricca villa rustica dotata di un sacello privato oppure un sepolcro monumentale situato nei pressi del decumano corrispondente alla strada principale in direzione di Camisano, altro centro di notevole importanza in età romana.

Tra III e IV secolo si assiste ad una progressiva crisi che investe il mondo agricolo e quindi anche le sue strutture materiali. Si diffonde la concentrazione delle terre da parte dei possessores anche nella pianura padana senza per altro che vi fosse una sistematica affermazione dei latifundia né una scomparsa delle medie e piccole proprietà; si accentua la formazione di impianti produttivi artigianali specializzati forse collegati ad un commercio a medio raggio

Nell’età tardoantica in territorio cremasco assistiamo ad una grande diffusione di siti abitati e ad una notevole differenziazione tipologica, almeno in base alle frammentarie notizie giunteci dai ritrovamenti archeologici in gran parte occasionali e solo raramente oggetto di scavi sistematici.

Tra III e IV secolo a Vidolasco agli insediamenti nei campi Novelli, campo Gamba zocca, campo Chiericata, campo Faustino e campo Dosso dell’Asino se ne aggiungono di nuovi, ad esempio il campo Campasso.

Al IV e V secolo d.C appartengono i reperti individuati a Vidolasco nel campo Brolo del Torchio, campo Torrazza, campo Ghislena, campo Termen e torre della Colombera presso la cascina dei fratelli Valerani a Montecchio.

Anche i due rinvenimenti testimoniati a Casale presso la vecchia chiesa di Santo Stefano e nel campo Chioso dell’Albera appartengono all’età tardoantica: si tratta di due nuclei di tombe riguardo alle quali purtroppo abbiamo scarse notizie.

Come si può quindi notare, a Vidolasco ed a Casale l’insediamento è ancora di tipo sparso durante l’età romana, con numerosi siti distribuiti nella campagna.


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