Vidolasco in epoca storica

Ultima modifica 5 giugno 2024

Due sono le principali famiglie nobili che ebbero beni ed un palazzo a Vidolasco: i Vimercati ed i Tadini.

Non sappiamo quando i Vimercati entrarono in possesso delle proprietà di Vidolasco, erano comunque presenti in paese a partire dalla seconda metà del XVI secolo. Tra i componenti della famiglia che risiedettero a Vidolasco senza dubbio il più illustre fu Ludovico II Vimercati Sanseverino, figlio di Sermone Vimercati e di Ippolita Sanseverino; egli militò valorosamente al servizio della Serenissima Repubblica di Venezia e morì a Cipro nel 1570 durante la guerra contro i Turchi, mentre era luogotenente colonnello del generale Girolamo Zani. Fu sepolto nel duomo di Nicosia nell’isola di Cipro e sulla sua tomba venne posta un’epigrafe commemorativa. I Vimercati Sanseverino mantennero la proprietà del palazzo in Vidolasco fino al XIX secolo.

I Tadini ebbero i primi contatti con il territorio cremasco con Michele Tadini di Caravaggio, medico condotto del Comune di Martinengo con obbligo di residenza dal maggio del 1434; egli acquistò le prime proprietà in Vidolasco agli inizi del XV secolo, forse nel 1439, quando ottenne la cittadinanza cremasca.

Michele ebbe tre figli: Felice, Clemente e Stefano. I primi due continuarono ad esercitare la professione paterna a Martinengo, ma non dimenticarono i loro possedimenti in Vidolasco; Clemente e Felice Tadini riedificarono infatti la chiesa parrocchiale del paese e la dotarono di suppellettili sacre, tanto che nel 1482 ne ottennero, grazie ad una Bolla del Papa Sisto IV, il privilegio dello “jus patronato” cioè il diritto di proporre un sacerdote a loro gradito per l’ufficio di parroco.

 Il più famoso tra i Tadini è sicuramente uno dei cinque figli di Clemente, Gabriele, nato a Martinengo tra il 1475 ed il 1480. Studiò ingegneria militare a Bergamo presso un ingegnere francese e si esercitò nell’uso delle armi; entrato nell’esercito della Serenissima ed avendovi militato per diversi anni, venne promosso colonnello ed inviato nell’isola di Candia per procedere alla fortificazione dell’isola.

Nel 1522 Solimano imperatore dei Turchi pose d’assedio l’isola di Rodi, in quel tempo sede dell’Ordine monastico-militare dei Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme. I Cavalieri inviarono un ambasciatore al governatore veneziano di Candia per ottenere delle truppe o per lo meno “volesse esser contento di prestargli e concedere il Martinengo, per potersi valere delle sue virtù e dell’ingegno suo in quel bisogno”. Il governatore rifiutò entrambe le proposte perché Venezia aveva stipulato un accordo di pace con i Turchi al fine di salvaguardare gli interessi commerciali veneziani in Oriente. Gabriele Tadini però non obbedì agli ordini dei propri superiori e fuggì a Rodi, dove chiese di entrare nell’Ordine dei Cavalieri di San Giovanni. Il Gran Maestro Philippe Villiers de L’Isle-Adam, dopo avergli concesso l’abito e la Gran Croce, lo pose a capo delle operazioni di difesa. Gabriele Tadini inventò in quella occasione la guerra di mina, utilizzata ancora quattro secoli dopo nella Prima Guerra Mondiale. Durante l’assedio, venne colpito da un’archibugiata al volto; la grave ferita lo tenne lontano dagli spalti per un mese e mezzo e gli costò la perdita dell’occhio destro, come si può vedere anche nel ritratto che gli fece il Tiziano alcuni anni dopo. Rodi resistette all’assedio per sei mesi nonostante la disparità di forze in campo (le truppe turche ammontavano a circa 200.000 uomini mentre l’esercito dei Cavalieri era costituito da 600 effettivi e 5000 mercenari), ma alla fine i Cavalieri dovettero capitolare e lasciare ai Turchi la sovranità dell’isola. Frà Gabriele Tadini, tornato in Italia, venne accolto con grandi onori ed ottenne il Priorato di Pisa e nel 1525 il Priorato di Barletta, il migliore ed il più ricco possedimento dei Cavalieri di San Giovanni in Italia. Nel 1530 i Cavalieri ottennero il possesso dell’isola di Malta dall’imperatore di Spagna Carlo V, anche grazie all’intervento di Frà Gabriele Tadini che dal 1523 era diventato suo generale delle artiglierie con il favoloso stipendio di 4000 ducati d’oro. Nel 1527, durante la difesa di Genova, Gabriele cadde prigioniero, mentre il fratello Girolamo ed il cugino Fabrizio morirono e secondo lo Sforza Benvenuti furono sepolti in San Domenico a Crema. Liberato alla fine del 1528, Gabriele si riunì alle forze di Carlo V e nel 1529 partecipò alla difesa di Vienna contro i Turchi di Solimano. Nel 1533, ormai stanco ed ammalato si ritira nei possessi della famiglia Tadini, presso il nipote ed erede Camillo. Il periodo di tranquillità durò poco, nell’ottobre del 1534 Gabriele venne di nuovo chiamato in servizio attivo dall’imperatore Carlo V e dalla Serenissima; si prepara una nuova offensiva contro i Turchi di Solimano per conquistare Tunisi. Dopo quest’ultima vittoria Gabriele si ritirò a Venezia dove morì il 4 giugno 1543; fu sepolto nella chiesa dei Santi Giovanni e Paolo in Venezia, lasciò erede dei suoi beni il nipote Camillo.

La casata dei Tadini di Vidolasco ebbe nuovo splendore nella seconda metà del XVI secolo, quando il pronipote di Michele Tadini, Camillo figlio di Gerolamo e Lucia Zurla, trasformò il palazzo di famiglia in una villa rinascimentale ed acquistò notevoli possedimenti a Crema ed a Camisano anche grazie all’eredità dello zio Gabriele.

I possedimenti di Vidolasco restarono infeudati alla famiglia per molti secoli, ne abbiamo una rappresentazione in una carta inedita datata 1651 nella quale si può vedere l’estensione del feudo dei conti Tadini che comprendeva, oltre a Vidolasco e a Casale, anche Sergnano e Trezzolasco.

L’ultimo della famiglia fu il conte Luigi, nato nel 1751; era un figlio illegittimo, ma ereditò nome, titolo e possedimenti forse perché era l’unico maschio; Gian Battista Terni infatti scrive che “nell’anno 1780 il signor Luigi Tadini il bastardo fu aggregato al nostro Consiglio per grazia”. Lo Sforza Benvenuti ce ne ha lasciato un ritratto alquanto colorito: “Ricco gentiluomo, d’ingegno versatile ed operoso. Carattere vivacissimo, bizzarro, irrequieto, lo agitava continuamente una vanità superlativa. Era uno di quegli uomini che si scalmanano per far parlar di sé; che vorrebbero si occupassero tutti della loro persona, ed avessero sempre il turibolo nelle mani per incensarli: uomini che amano la teatralità delle ovazioni da piazza, si presumono capaci di tutto e senza avere studiato molto diventano oratori, magistrati, poeti, guerrieri a norma delle occasioni e dei tempi che corrono”. Il teatro ed il mondo dello spettacolo in genere erano la sua grande passione; nel luglio del 1783 organizzò a Crema la Corsa degli Asini; nel 1784 annunciò alla cittadinanza che avrebbe volato in un pallone areostatico, ma l’impresa non gli riuscì perché il pallone non era stato progettato correttamente, la folla accorsa per assistere all’evento lo prese in giro a tal punto che il conte Tadini dovette fuggire a Venezia per alcuni mesi per sottrarsi alle beffe dei Cremaschi. Tornato a Crema, nel 1785 allestì un teatrino dove cantò da primo attore in un’opera buffa.

Nel 1798 le truppe repubblicane francesi di Napoleone entrarono a Milano, così l’anno successivo il conte Luigi Tadini rinunciò al titolo nobiliare e contribuì alla costituzione della Repubblica di Crema; egli fece inoltre parte del Corpo Legislativo del Regno Italico.

Nel 1799 morì a venticinque anni l’unico figlio, Faustino, mentre sovrintendeva alla demolizione di un muro nella villa di Lovere.

Quattro anni dopo scrisse il Ricciardetto Ammogliato poema comico in dodici canti ed in seste rimee nel 1818 i Salmi, canti ed inni cristiani che fece musicare ai maestri Gazzaniga e Pavesi come al solito tagliente e salace il giudizio dello Sforza Benvenuti sull’arte poetica del conte: “Versi e rime sapeva accozzare con facilità: mancava quella peregrina venustà nella forma e nei concetti che distingue il poeta dal verseggiatore. Ma a lui bastava il vanto d’essersi arrampicato sulle cime del Parnaso, non curandosi se invece delle rose sovente vi coglieva grattaculi”.

Nel 1815, con il ritorno degli Austriaci, Luigi Tadini da repubblicano era ritornato ad essere aristocratico e monarchico. In occasione della visita dell’imperatore Francesco I alla città di Crema, il conte incaricò il sacerdote bergamasco Bartolomeo Bettoni di comporre una Storia di Crema e di dedicarla all’imperatore. La presentò quindi al Comune di Crema chiedendo che fosse pubblicata per poterne fare omaggio a Francesco I, ma gli venne rifiutata. Il Tadini si vendicò di questo affronto nominando come proprio erede il Comune di Lovere e non quello di Crema.

Alla sua morte, nel 1829, nominò come erede con sostituzione fidecommissaria perpetua di primogenitura, il conte Faustino Vimercati Sanseverino, con l’obbligo di aggiungere al proprio nome il cognome Tadini. Lasciò al Comune di Lovere una casa, la sua splendida pinacoteca ed un ricco patrimonio per costituire e mantenere una scuola di musica e di disegno.

Il conte Luigi Tadini fu sicuramente un personaggio bizzarro, ma fu anche un attento collezionista ed un generoso mecenate; la pinacoteca che, per vendicarsi dell’affronto subito dal Comune di Crema, donò alla cittadina di Lovere comprendeva quadri di Perugino, Guido Reni, Parmigianino, Bellini, Tintoretto, Tiziano, Veronese, Procaccini, Frà Galgario, Correggio, Palma il Giovane, Francesco Hayez, Vincenzo Hayez, Moretto, Canova, oltre ai cremaschi Civerchio, Barbelli, Pombioli ed altri.

Al conte Luigi è dedicato anche un manoscritto inedito conservato presso la Biblioteca Civica di Crema ed eseguito da G. B. Cagnana nel 1789: si tratta dell’elenco di tutte le proprietà del conte situate nel territorio di Vidolasco e Trezzolasco. Ogni campo, roggia, strada, canale o edificio di proprietà dei Tadini (compreso il palazzo e la chiesa dei Santi Faustino e Giovita) è descritto dal Cagnana con un disegno a colori che ne riproduce la pianta, le pertinenze ed i confini, il tutto è realizzato con dovizia di particolari ed abbellito con fantasiose cornici colorate.

I Vimercati Sanseverino mantennero i possedimenti in Vidolasco fino al 1909 quando il conte Annibale li vendette ai fratelli Pasquini.


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